La preghiera, intesa come rapporto con Dio, non ci lascia mai uguali a noi stessi, ma mette sempre in moto, passo dopo passo e secondo i tempi e le possibilità della nostra struttura, un cammino di trasformazione interiore e di liberazione. Ciò rappresenta anche uno strumento di verifica del nostro cammino spirituale: la nostra preghiera, quando è autentica, deve metterci in moto e in discussione, non può lasciarci fermi nelle nostre posizioni, giudizi, pensieri o passioni. Coltivare la vita interiore ci permette di affinare sempre di più la sensibilità per ciò che ci avvicina o ci allontana da Dio.
È un cammino di liberazione personale, ma i frutti li vediamo anche nel rapporto con gli altri. Spesso infatti siamo duri nei confronti di chi ci è affianco, nutriamo rabbia verso certi comportamenti o lati del carattere altrui che ci danno fastidio o ci scandalizzano o ci feriscono. A volte questo giudizio contro l’altro, che per forza non può essere perfetto e sempre avrà in sè fragilità e “lati scomodi”, ferisce anzitutto noi stessi, che non troviamo pace nel cuore. Ci scopriamo incapaci di voler bene l’altro per così com’è. Per questo il cammino di preghiera risana anche le nostre relazioni: ci rende infatti meno duri, più comprensivi, perchè facciamo esperienza sulla nostra pelle di quanto tempo e quanta misericordia sia necessaria prima di prendere consapevolezza ed evangelizzare i lati deboli od oscuri della nostra personalità, per trasformarli e conformarli a Cristo.
Lo sguardo interiore allora riesce a sollevarsi dal giudizio contro se stessi o contro gli altri, ed è più libero per indirizzarsi verso le cose di Dio. Le nostre energie emotive e intellettuali possono concentrarsi sul pensiero di Dio e sulla costruzione del bene comune.
Nella comunicazione quotidiana con il Salvatore si acquista una sensibilità sempre più delicata per ciò che gli piace o dispiace.
Allora a poco a poco si diventa piccoli e umili, pazienti e indulgenti verso la pagliuzza dell’occhio altrui perchè la trave nel proprio dà tanto da fare; e s’impara infine a sopportare anche se stessi nella inesorabile luce della presenza divina e ad affidarsi completamente alla divina misericordia.
Vivere eucaristicamente significa uscir fuori dalla limitazione della propria vita e trapiantarsi nell’immensità della vita di Cristo. Chi visita il Signore nella sua casa, non vorrà sempre importunarlo di sè e delle proprie faccende, ma comincerà a interessarsi delle cose del Signore. (Stein, Il mistero del Natale, p. 566).