Molti autori spirituali della nostra tradizione cattolica parlano della vita spirituale come di un pellegrinaggio o di un viaggio. Paragonano la vita con Dio alla scalata di una montagna come Giovanni della Croce, o ci esortano a scegliere la via della vita piuttosto che la via dei malvagi (così scrive una delle guide essenziali per condurre una vita veramente cristiana nel mondo complesso e pluralista dei primi secoli dopo Cristo, la Didachè). Descrivono le tappe del cammino verso la santità, il modo in cui si giunge all’unione con Dio, o la “piccola via” dell’affidamento totale all’opera dell’amore di Dio in noi, come Santa Teresa di Lisieux.
Nel Vangelo di Marco della tempesta sedata (Mc 4:35-41) si parla della tempesta e del pericolo del mare, della grande paura per la vita: ci mettiamo in viaggio, sappiamo dove vogliamo navigare, ma prima di essere finalmente al sicuro con Dio sull’altra riva, sperimentiamo anche i rischi di ogni viaggio e cediamo facilmente alla paura che invece di trovare la vita di Dio, la perderemo.
Per non lasciare che sia la paura a manovrare il nostro cammino, è bene essere amici dei mistici che ci ricordano che le difficoltà fanno parte del viaggio e che la meta è ancora un po’ più in là. Quando ci troviamo nelle difficoltà e nelle tempeste spirituali dell’interiorità, inizia una nuova tappa del cammino. Non dobbiamo più essere principianti in amore. Possiamo diventare avanzati, persino “perfetti” o “completi” nell’amore: imparare ad amare Dio e la vita che ci ha dato con tutte le nostre forze, con tutto il nostro cuore e con tutto il nostro essere.

È proprio per non rimanere a metà strada nell’amore che a volte sperimentiamo l’insicurezza nel cammino spirituale. Il carmelitano spagnolo Giovanni della Croce parla di un periodo della vita spirituale che diventa un viaggio attraverso una “notte oscura”: smettiamo di sapere cosa sta accadendo nella relazione tra noi e Dio, gli strumenti abituali della preghiera e degli esercizi spirituali che abbiamo usato finora nella vita spirituale cessano di sostenerci. La vita diventa più difficile e meno piacevole e non c’è divertimento, né lavoro, né relazione che possa affogare il dolore spirituale. Desideriamo la luce, ma sperimentiamo l’oscurità, il disorientamento e il dubbio.
Alcune persone rimangono profondamente scoraggiate dal fatto che più cercano di investire nella loro relazione con Dio, più la situazione peggiora: più meditano e pregano, cercano di formarsi a livello spirituale e di vivere bene all’interno della Chiesa e nelle relazioni familiari, più sprofondano in un senso di non appagamento. Hanno lasciato il porto familiare della loro precedente esperienza di fede, ma non hanno ancora gettato l’ancora in un porto nuovo.
Dio li sta introducendo in una nuova tappa del cammino spirituale che li condurrà verso l’unione con Lui, ma essi stanno opponendo resistenza o semplicemente non sanno da che parte andare. Non capiscono cosa sta succedendo e vorrebbero che tutto fosse come prima: che Dio li trattasse allo stesso modo. Ma Dio è come una madre, dice San Giovanni della Croce: quando desidera che il bambino impari finalmente a camminare, lo lascia uscire dalle sue braccia e gli mette i piedi per terra, non perché lo ami di meno, ma perché continui a crescere. Allo stesso modo, nella vita spirituale: perché non sentiamo le braccia di Dio per un po’, ci facciamo prendere dal panico: manca la soddisfazione della preghiera, le letture spirituali, le conversazioni con persone spirituali, gli atti di pietà non funzionano… Ma Giovanni della Croce aggiunge che non c’è nessun posto dove tornare, in questa fase dobbiamo stare in piedi da soli e imparare qualcosa di nuovo.

Cosa dobbiamo imparare? Per esempio, a purificare il nostro interesse per Dio, ad affinare il nostro amore e la nostra fiducia in modo che possano continuare a crescere. Il carmelitano spagnolo dice che Dio ci ama così tanto che semplicemente prende sul serio il nostro desiderio di Lui e ci permette di purificare i nostri affetti, attaccamenti e interessi. “L’amore crea una somiglianza tra l’amante e l’amato”, per questo non è indifferente cosa amiamo, in cosa investiamo la nostra energia vitale, con cosa costruiamo una relazione. Per crescere nella “somiglianza di Dio”, dobbiamo scoprire i nostri “affetti disordinati”. Non siamo nemmeno lontanamente giusti, pii, saggi e gentili, tolleranti e liberi come vorremmo… Soprattutto, dobbiamo lasciare che Dio finisca la sua opera in noi con la sua grazia attraverso questi momenti di crisi. Il risultato sarà, tra l’altro, che ci sarà un po’ meno di egoismo e più di Dio nel nostro modo di vivere.
Forse questo ci aiuterà a smettere di pretendere che noi stessi o gli altri siano come Dio: nessuno dei nostri amici, dei nostri cari o dei nostri colleghi è Dio, e noi stessi a volte ne siamo molto lontani, se guardiamo alla nostra capacità di amare come Lui ama la persona e il mondo che ci ha dato. La notte trasforma anche la nostra idea di cosa significhi amare: l’amore non è un nostro obbligo verso qualcuno o un obbligo dell’altro verso di noi, ma è intrinsecamente altruistico. Ma è difficile da vedere.. La notte, quindi, significa anche sopportare noi stessi, così come siamo. Non avere paura dell’oscurità e attraversarla per raggiungere la luce.
Possiamo confidare che il viaggio non finisca nelle tenebre, che Dio sta lavorando per noi per raggiungere la luce, la risurrezione. Collaborare con lui in tempi di tempeste e notti spirituali significa ammettere di avere paura e, soprattutto, permettere a Dio di guidarci e purificare i nostri affetti, a volte strani, per non vivere in opposizione all’amore e alla fiducia di Dio:
“Si fidino di Dio, che non abbandona coloro che lo cercano con sincerità e semplicità di cuore, e che non cessa di dare ciò che serve per il cammino fino a portarli nella luce chiara e pura dell’amore”. (Giovanni della Croce, Notte oscura 1 10,3)
Anche se la nostra visione della meta è attualmente oscurata, non c’è motivo per cui il nostro cammino sulle orme dell’umanità di Cristo non possa continuare: nelle nostre crisi spirituali impariamo a essere esseri umani fragili come lui, senza mai dimenticare che in tutto stiamo imparando a diventare figlie e figli del Padre celeste. Le turbolenze e le tempeste spirituali non sono la fine del viaggio, ma ci permettono di avanzare sulla strada della pienezza dell’amore in cui dobbiamo vivere e che è la fonte della gioia infinita in Dio:
“Con questo si intende che l’uomo deve rallegrarsi solo quando è in cammino verso Dio, e solo quando agisce nell’amore, perché cosa vale davanti a Dio se non l’amore?”. (Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo 3 30,5)

Sr Denisa