CON…TATTO?

I primi capitoli della Genesi portano in luce gli elementi fondamentali. Qui troviamo la storia di un divieto. E tutto il fascino che ha per l’uomo la trasgressione del divieto. È la genesi della nostra vita psicologica e del nostro modo di avere relazione con noi stessi e con la realtà esterna. Gen3: in pochi versetti sono descritti gli albori dell’angoscia dell’uomo, attraverso un evento mitico e la constatazione esistenziale che l’uomo vive una forma di nascondimento e separazione. Emerge in questo testo l’intervento del serpente, come simbolo di una forza opposta a Dio. L’uomo e la donna, simbolo dell’intera umanità, ascoltano le sue insinuazioni.

Dio disse ai nostri progenitori: “potete mangiare di tutti gli alberi, tranne uno”. Il serpente invece insinua: “Dio ha detto, che non dovete mangiare di nessun albero”. Il serpente inizia a inoculare il dubbio di Dio nel cuore dell’uomo. Dubbio sul fatto che Dio sia un despota, che priva l’uomo del cibo, della vita. Nel nostro cuore è presente questa obiezione fondamentale. L’insinuazione fa leva nel cuore della donna, lo infetta. La donna afferma, che non si deve toccare questo frutto, appena lo si tocca, si muore. Questo però Dio non lo ha mai detto. È un pensiero competitivo alla volontà di Dio, che è per la vita, non per la morte. Il divieto, nella mentalità del serpente, non appartiene alla categoria del bene, ma è una privazione di vita, di sapienza e immortalità, che sono il segreto di Dio. Ciò innesca nell’uomo e nella donna una paura originaria, sentimento nascente per cui Dio ci ha creato, ma è in competizione con noi che siamo a sua immagine, e non vuole il nostro bene. Quando nasce la competizione con Dio, nasce la rivendicazione di ciò che ci ha negato. Si perde il legame tra il divieto e il bene. Il verbo “toccare” apre la possibilità della disobbedienza dell’uomo a Dio, per poter diventare come Lui. Nel momento in cui l’uomo e la donna toccano il frutto, si ritrovano nudi. Sono nudi come il serpente. Si sono scoperti profondamente creature. E hanno bisogno di nascondersi: il proprio corpo rispetto al partner, e poi la propria persona rispetto a Dio, poi rispetto alla creazione. C’è un nascondimento, una separazione, un’esperienza di disconnessione. Un distacco che attanaglia la vita di ciascuno di noi. Una perdita di armonia profonda, di contatto.

Il contatto dice la nostra relazione con Dio. Esiste una possibilità reale di contatto con Dio, con noi stessi, con gli altri? O dobbiamo rassegnarci a una vicinanza? La mia relazione con Dio, mi presenta una soglia? Una soglia come castigo “ho sbagliato – allontanati da me!”? O può essere una relazione integrale, spirito, anima e corpo? Si pensi al grande affresco della creazione nella cappella Sistina, le due dita, dell’uomo e di Dio, di fatto non si toccano. Forse che un contatto concreto non si realizzerà mai? O al contrario, questo contatto è il desiderio dell’uomo, e la promessa di Dio? Qual è stato il pensiero originario di Dio? La creazione stessa ci dice che Dio da sempre ha voluto un contatto reale. Con le sue mani ci ha creato, e con il suo soffio ci ha inspirato la vita. Nel Cantico dei Cantici, vediamo il contatto concreto nella dinamica sponsale.

“Quel che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi e contemplato, quello che le nostre mani hanno toccato, il Verbo della vita” 1Gv1. Ci sono tutti i sensi. È un divieto il contatto con Dio? Le nostre mani hanno toccato il Verbo della vita. Nella pienezza dei tempi c’è un contatto completo con Dio. Grazie all’incarnazione. Gesù Cristo, l’uomo Dio, esprime tangibilmente la volontà di suo Padre di essere il Dio con noi. Il tatto è il senso vero e proprio della relazione. Guardando al Vangelo, Gesù prende per mano la suocera di Pietro, tocca i malati per guarirli, tocca il cieco nato ecc. Fin dal primo giorno della sua vita pubblica, tocca. E viene toccato. E non si sottrae a nessun tipo di contatto. Con l’incarnazione, il contatto è una categoria della nostra relazione con Dio. Grazie alla sua umanità. San Bernardo afferma per l’appunto: se non si fosse fatto uomo, Dio sarebbe rimasto inaccessibile e intangibile.

Giungiamo poi a Gesù Risorto, che dice a Maria Maddalena: “Non mi toccare!” È l’invito a un tocco nuovo. Non si sottrae alla relazione e al contatto. Qual è il nome post-pasquale del contatto con Cristo? Questa intimità con Dio la possiamo raggiungere:

1. Nei sacramenti, che ci aprono a questa relazione. La frequentazione dei sacramenti è il contatto quotidiano e continuo con Lui.

2. Il tatto redento di fratelli e sorelle, corpo di Cristo dopo la sua Resurrezione. Le relazioni fraterne, la Chiesa.

Il nome post-pasquale del contatto è la carità. Con il tatto possiamo guarire, accogliere, abbracciare. Tatto che si lascia toccare da Cristo (nei sacramenti, nella preghiera) per a sua volta essere a contatto con gli altri per donare o per prendersi cura.

“Ho fame, e mi date da mangiare, ho sete, e mi date da bere, sono straniero, e mi accogliete, mudo e mi vestite, malato e mi curate, carcerato e mi visitate” Mt25,31.

Padre Gabriele Morra, suor Emanuela Giordano

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