Continuamente siamo chiamati a “rientrare in noi stessi” e la preghiera e il silenzio sono la via privilegiata per rientrare in contatto con questo luogo interiore. L’esercizio del silenzio e dell’ascolto permette di percepire questa realtà interiore intima e profonda, dove risiede ciò che siamo e desideriamo veramente, e dove parla la voce di Dio che ci abita.
Questo stare alla presenza di Dio non cambierà la mia realtà interiore od esterna, ma mi permetterà di percepire entrambe in modo diverso e dunque di prendere delle decisioni, in modo libero, e secondo Dio.
Se ad esempio una persona ha un carattere impaziente, probabilmente questo tratto del carattere gli rimarrà. Ma adottare lo sguardo di Dio su se stessi e la realtà, grazie alla preghiera, cambierà magari le proprie priorità, e la persona diventerà un po’ più calma e più paziente di prima. Internamente la reazione primaria sarà ancora l’impazienza. Ma sarà solo il primo impulso. La persona infatti potrà guardare dentro di sè e scoprire di poter prendere una posizione sulla propria impazienza. E dunque assecondarla, oppure no.
Altro esempio: qualcuno mi aggredisce e io reagisco in modo altrettanto aggressivo e sulla difensiva. Ma deve essere sempre così? Non è necessario. Allora cosa faccio? Questo passo indietro è uno dei grandi benefici della preghiera, del “rientrare in se stessi”: ovvero la capacità interiore di distinguere tra la prima tendenza che mi viene in modo immediato e ciò che invece voglio veramente ed è secondo Dio, con cui dunque imparo a restare unito in modo più profondo e consapevole.
Piano piano sviluppo in me una capacità sempre più grande di accogliere con pace e cuore riconciliato la realtà di me stesso e quella esterna, così com’è, e di abbandonarmi con fiducia all’agire di Dio.
Rientrare in sè significa avvicinarsi gradualmente a Dio.
Essendo spirito e immagine dello Spirito divino, l’anima ha conoscenza non solo del mondo esterno, ma anche di se stessa: è consapevole della sua vita spirituale e può riflettere su se stessa, anche senza rientrare in sè per la porta della preghiera.
Nonostante la sua mobilità, l’io resta sempre legato a quell’immobile punto centrale dell’anima in cui si trova veramente a casa sua. Verso questo centro esso viene continuamente richiamato. E non solo viene chiamato alla più alta grazia mistica, ossia al matrimonio spirituale con Dio, ma anche a prendere le ultime decisioni, quelle cui è chiamato l’uomo come persona libera. Il centro dell’anima è il luogo dal quale si fa udire la voce della coscienza e la sede delle libere decisioni personali. Siccome è di fatto così e nell’unione amorosa con Dio rientra proprio la libera dedizione personale, la sede della libera decisione deve essere al contempo anche la sede della libera unione con Dio. Si spiega perchè S. Teresa consideri l’abbandono della volontà a Dio come l’elemento più essenziale all’unione.
(E. Stein, Il Castello dell’anima, p. 95)