Accogliere è il verbo che vogliamo sottolineare questa domenica, è il movimento interiore che saremo invitati a compiere durante la nostra preghiera.
Nella prima e nella seconda lettura di oggi viene descritto il nostro punto debole: vediamo l’altro come un nemico o un rivale. Ci sentiamo giustificati a nutrire pensieri o sentimenti di gelosia, invidia, rancore, perchè non digeriamo l’altro così com’è, la sua alterità scatena in noi una tempesta, stuzzica e infiamma parti scomode e buie di noi stessi. Per questo le relazioni sono molto preziose: finchè siamo soli ci sentiamo molto buoni e giusti, poi quando entriamo in relazione con qualcuno ci scappano da dentro reazioni di aggressività inaspettata, che ci mettono davanti alla realtà fragile di noi stessi, che si rispecchia nell’altro.
La confidenza che Gesù affida ai discepoli riguardo alla sua morte e risurrezione provoca nei discepoli una reazione inaspettata: discutono animatamente su chi è il migliore, su chi ha le carte buone per poter prendere il posto del maestro, destinato a morire. La paura della morte, la paura di non valere, ci fa cadere nell’istinto del “morte tua, vita mia”, come se umiliando l’altro, noi ne veniamo fuori un po’ migliori e un po’ più forti.
Gesù non si scandalizza della fragilità che viene alla luce dai cuori dei suoi discepoli. Non la giudica, non vi si scaglia con durezza A volte siamo noi i giudici più duri, non solo verso gli altri, ma anche contro noi stessi. Gesù compie il gesto di abbracciare un bambino, ponendolo al centro dello sguardo e dell’attenzione di tutti. Il bambino è proprio il simbolo della nostra debolezza che ci portiamo dentro anche da adulti grandi e vaccinati. Il bambino rappresenta inoltre la realtà dell’altro, che anche se esternamente può presentarsi come minaccioso, in realtà non è altro che un bambino da accogliere.
Sospendiamo il giudizio sull’altro, lasciamo per un attimo calmare e tacere la passione che può turbare il nostro cuore, e guardiamolo per quello che è: un bambino da accogliere, come lo siamo noi.
E lasciamoci finalmente abbracciare.
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