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Niente vi è di più urgente che abbandonarsi del tutto a Dio, che mettersi totalmente nelle sue mani. Nel suo infinito ed incommensurabile amore… Egli vuole riempirci di se stesso, solo se noi desideriamo essere riempiti da Lui e non cerchiamo di chiudere i nostri cuori a Lui, riempiendoli di cose che non sono Lui. Se noi sapessimo svuotare i nostri cuori da ogni cosa, distaccarci da tutto ciò che non è Dio; allora si resterebbe stupiti davanti al lavoro che Dio opera in noi. Se l’uomo fosse profondamente penetrato da questa verità, allora si lascerebbe totalmente assorbire in Dio. 

(Tito Brandsma – Introduzione a Groenevald, Carmelicht)

Non hanno bisogno di grandi commenti queste parole di Tito Brandsma, ma di un’esperienza. Proviamo a metterci in silenzio, a raccoglierci, e a lasciare andare pensieri e sentimenti. Lasciamo le onde agitate delle preoccupazioni o dei conflitti esteriori o interiori, che stanno nella superficie, per inoltrarci nelle profondità della nostra interiorità, in quello spazio che il Signore riempie della sua presenza. Rimaniamo in questa profondità calma, e abbandoniamoci ad ogni respiro a Lui, che ci dona ad ogni respiro la vita. Questa è ora la nostra sola urgenza.

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Il termine vocazione – chiamata – può riferirsi a realtà di vita differenti: il matrimonio, la vita consacrata, la missione, l’impegno sociale o politico. In ascolto della voce di Dio che parla nei miei desideri più profondi e nella mia vita, posso sentire di voler sposare, ovvero unirmi e donare tutto me stesso/a,  una particolare persona, il Signore (e dunque tutte le persone che Egli mi affida), una particolare realtà. Si tratta di mettere le proprie radici e amare. Bettina è madre e maestra in particolare per chi desidera donare la sua vita a Dio nella vita consacrata, e parla non a caso di sponsalità: quel che ci unisce a Dio è l’amore, e donare a Lui e alla sua Chiesa la propria vita, lo si fa solo per amore. Ogni vocazione è dono e compito, ma è soprattutto quel che ci apre in questa vita ad amare e ad essere amati, per questo, appena ne prendiamo consapevolezza, diviene per noi fonte di grande gioia.

Per far apprezzare alle sue figlie la grazia della vocazione, le animava a “divenire vere imitatrici di Colui che ha dato la stessa vita per noi, e per giunta ci ha chiamate al sublime stato di spose”. “Se tu pensassi spesso – diceva ad una di esse – alle tante grazie che il Signore ti ha elargito avendoti prescelta nel numero delle sue intime spose, credo che i tuoi occhi spesso, come sono pieni di lacrime, li vedrei pieni di gioia”. Ad infervorarle nello spirito del Carmelo leggeva e commentava le opere di S. Teresa di Gesù e di S. Giovanni della Croce, che aveva sempre tra le mani e profondamente amava, sapendone a memoria gli squarci poetici.

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Padre Tito scrive questa poesia nel carcere di Scheveningen, nel 1942, avendo lo sguardo rivolto a Cristo in croce. Esprime l’accoglienza della sofferenza che la vita gli impone, come luogo per unirsi maggiormente a Dio. Nel nostro cammino di preghiera Egli ci indica un luogo molto fecondo per unirci a Cristo e vivere una pace profonda, ed è quello del dolore vissuto non da soli, ma uniti a Cristo, sicuri del suo amore per noi. Arriva a dire: Nel dolore mi sento felice. Sembra paradossale, ma evidentemente l’esperienza del dolore ci spoglia a tal punto che ci unisce all’essenziale. Quando in noi si fa il vuoto, ritroviamo Colui che è sempre presente, Colui che ci è vicino.
O Gesù, quando ti guardo
mi sento rivivere.
Ti voglio bene.
Anche tu mi vuoi bene,
come il tuo miglior amico.
 
La tua amicizia mi porta sofferenza.
Ma ogni sofferenza va bene per me.
Così rassomiglio a te:
verrò dove tu abiti.
 
Nel dolore mi sento felice.
Non lo chiamo più dolore
ma felice occasione 
di essere a te più unito.
 
Mi avvolgano il silenzio,
l’umido, il freddo.
Lasciatemi qui.
Nessuno mi visiti.
Non mi tormenta lo star solo.
 
Tu, infatti, Gesù, sei con me:
mai mi sei stato così vicino.
Resta con me,
qui, accanto a me, dolce Gesù.
La tua presenza mi è pace.
 
(p. Tito Brandsma, Poesia composta nel carcere di Scheveningen, 12-13.2.1942)
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La maternità si esprime nell’atto di dare la vita e custodirla. E’ così che una donna vive pienamente il dono di Dio che è in lei, nel momento in cui ama e genera la vita. Questo è vero per ogni donna. Per la moglie e madre, per la consacrata, per la donna impegnata nella propria professione lavorativa, per la donna anziana o per la donna che vive una grave malattia. Qualunque sia la forma concreta di vita a cui una donna è chiamata, la sostanza del suo donarsi resta. E questo dono di sè, che genera e custodisce la vita, ha molte forme: l’ascolto, il consiglio, il conforto, nonchè l’attenzione ai bisogni dell’altro, fino anche…al buon umore e al sorriso!!!

 

Donna di gran cuore, Bettina sapeva tutto soffrire e affrontare ogni sacrificio per ricondurre la calma nelle menti sconvolte, nelle anime agitate. Per tutte un consiglio, un aiuto, un conforto. “La cara madre si occupava di noi giorno e notte. L’ho veduta molte volte, allorchè ero educanda, entrare nei dormitori, avvicinarsi al letto di ciascuna per vedere se riposavamo e benedirci con l’acqua benedetta. Amava la santa giocondità e durante la ricreazione delle consorelle scherzava e amava cantare lodi sacre e canzoni”.

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La pace del cuore è un frutto dello Spirito Santo, è dunque un dono, che possiamo chiedere e ricercare nella preghiera. Quando rientriamo in noi stessi, infatti, scendiamo in una profondità dove tutto è calmo e silenzioso. In superficie ci possono essere tempeste o maremoti che ci turbano, ma che poi, lo sappiamo bene, passano. Nella profondità di noi stessi, abitata da Dio e ricolma di Spirito Santo, possiamo fare esperienza di un abbandono fiducioso a Dio che ha cura della nostra vita. Questo è il punto di partenza giusto per guardare alle cose e per discernere gli eventi della nostra quotidianità: a partire da questo centro, che è il nostro rapporto con Dio.

Nel cuore delle figlie della Bettina doveva regnare sempre la tranquillità; esse dovevano servire il Signore in letizia. “E’ nella pace che il Signore è solito manifestare ciò che Egli vuole dalle sue dilette. Spero che farete di tutto per non perderla. Nella calma si vedono meglio le cose, mentre con lo spirito turbato i bruscoli sembrano travi”. “Raccomando di stare allegre nel Signore, perchè così potremo con più facilità giungere alla perfezione alla quale il Signore ci ha chiamate. Lo scontento è l’arte che tiene il demonio. Quando non potete fare altro per amore di Dio, fate un salto”. 

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Madre Maria Candida dell’Eucarestia, con le sue parole e la sua esperienza, accende il desiderio di un rapporto con Gesù di unione: io in te, Tu in me, siamo infatti una cosa sola. Questa unione è possibile sempre, in ogni momento della giornata e tra le occupazioni. Non sono necessarie le parole, nè di cambiare qualcosa di se stessi o di sforzarsi per fare qualcosa…E’ sufficiente restare con Lui, in sua compagnia. Riposare sul suo Cuore. Rientrare nella stanza del proprio cuore, dove Egli ha la sua dimora.

Gesù buono mi attira a riposare sul suo Cuore. Oh, unione bella e forte: il mio cuore sul Cuore di Gesù, la mia anima a contatto con l’Anima immensa di Gesù, mare immenso di luce candidissima. Dopo la Comunione, scendo a gustare questa forte unione nella stanza del mio cuore. Lì mi sento fortemente e dolcemente attratta, perchè lì vi è Gesù che in quel momento è certamente unito corporalmente a me. Ma, anche senza Comunione, andando a Gesù con un semplice slancio dell’anima nell’orazione, d’improvviso l’ho sentito giungere sensibilmente. 

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Anche per il cammino spirituale, si parla di formazione, e di formazione continua. Questa consiste nel nutrire il gusto per le cose di Dio, nell’ approfondire le ragioni della nostra fede e il significato della nostra vita cristiana. Abbiamo bisogno di frequentare Dio e crescere nella sua conoscenza per amarlo sempre di più. Più approfondiamo questa conoscenza, più cresce il nostro desiderio, più ci innamoriamo di Lui e di tutto quello che lo riguarda. La Chiesa ci offre una tradizione ricchissima per scendere nella profondità di noi stessi e lì coltivare tutto ciò che più ci unisce a Dio, riconoscendo e mollando tutto ciò che invece ci ingabbia nel nostro io. Questo esercizio d’amore non è mai fine a se stesso, ma ci permette di amare di più: Dio e ogni persona che Egli ci mette accanto, fino all’umanità intera.

Bettina aveva allora 42 anni, ma le prove e i contrasti d’ogni sorta che aveva dovuto attraversare le avevano dato un’esperienza superiore all’età e quella conoscenza delle vie del Signore, quel prudente giudizio pratico, che più si richiedevano dal suo piccolo gregge. E’ dalla formazione di quelle prime sue figlie che dipende il primo indirizzo dell’opera: le altre si sarebbero formate sul modello di queste. Perciò, standole sommamente a cuore la formazione della loro vita religiosa, non cessava di raccomandar loro di essere generose con Dio, abbandonandosi a Lui nell’umiltà, nell’obbedienza, nell’amore alla Croce.

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A volte per ascoltare la voce di Dio, è sufficiente accogliere gli eventi della vita, anche quando rovesciano i propri progetti o intenzioni iniziali. E’ anche attraverso i fatti concreti della nostra storia, infatti, che il Signore ci fa comprendere quale strada imboccare e come donare noi stessi nell’amore. Il cammino dunque è sempre il frutto di un dialogo a più voci, tra i nostri desideri profondi e Dio, che ci conosce nell’intimo e sa qual è il bene per noi, in una vita fatta di sorprese, imprevisti, limiti, relazioni e incontri, che possono in breve tempo rivoluzionare tutto, ma mai a caso. Il Signore ci doni l’intelligenza della fede per riconoscere in ogni evento il suo agire provvidente e buono.

Vita contemplativa soltanto o vita anche attiva in mezzo alla società? Bettina era venuta a conoscenza che una povera donna del paese era gravemente inferma e volle venirle in soccorso prestandole la sua assistenza e, insieme alle consorelle, vegliò giorno e notte al suo capezzale. La mamma disse, pensando alle sue figlie: “Che sarebbe stato di loro? O Bettina, io morirei contenta, se queste mie povere piccine le prendessi tu!” La Bettina le ricevette con amore di madre e loro dicevano: “Voglio bene a lei, quanto alla mamma di ciccia”. Da quel momento Bettina si apriva alla chiamata divina per l’azione.

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Restare uniti a Lui, con la consapevolezza che Lui è con me, che Lui è presente, che il Signore abita il cuore delle persone che incontro, che Egli è tra noi, nei nostri legami di amore, amicizia e fraternità. Frequentarlo con un pensiero o un semplice slancio del cuore, un semplice sguardo. Questo è il segreto che la Santa ci consegna per essere liberati da ogni altro pensiero o sentimento che a volte ci turba, e per sperimentare così, la gioia del cuore, la forza dello spirito. Teniamo fisso lo sguardo in Lui.

E’ Gesù stesso che attira a Sè dolcemente il mio spirito, o dal suo tabernacolo o dal mio cuore, specie quando l’ho ricevuto nella santa Comunione. Il mio spirito si solleva a Lui con felicità. Mi sento beata mentre i miei occhi si fissano in Lui. Ma anche se non mi si manifesta, il mio spirito resta sollevato per la fede, semplicemente, verso quella divina presenza che nutre l’intelletto e il cuore, lasciandomi forte, piena di buona volontà, legata al divino volere, alla virtù; non mi è possibile allora scorgere in me altro che sentimenti buoni e belle disposizioni. Gesù spande un piccolo filo di beatitudine che pervade tutto il mio essere: forse è Lui stesso che si riflette nella mia anima.  

Madre Maria Candida dell’Eucarestia – Nella stanza del mio cuore

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Coltivare una sensibilità per le cose di Dio significa crescere nella conoscenza del cuore e dell’anima, propri e di quelli degli altri. Perchè Dio risiede proprio nel nostro essere più profondo. La conoscenza di Dio ci svela a noi stessi. Diveniamo compassionevoli, capaci di ascolto dei moti del cuore, capaci di accoglienza e comprensione. Si apre dunque un’altra dimensione della vita, che è essenziale: la vita dello spirito. Veniamo restituiti alla nostra integrità originale: lo spirito, l’anima e il corpo della nostra persona è un tutt’uno unito a Dio.

 

Al Conventino accorrevano pure, con le giovani, donne anziane per lavorare, per udire sante letture, per recitare il rosario. Bettina era tanto innamorata di Dio, che parlando con lei la conversazione a poco a poco si levava alle cose di Dio, ma con tale spontaneità, da accorgersene solo quando, toltisi dal suo fianco, si sentiva d’essere divenuti migliori. Inoltre sembrava che ella indovinasse, che leggesse nei cuori, come Gesù al pozzo di Sicar. “La Bettina ha un cuore…e consola tutti sempre” – dicevano le popolane tornando a casa. Quando parla un cuore convinto, acceso dall’amore di Dio e degli uomini, la parola è calda, potentissima.

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